Come si può facilmente intuire, il termine “copyleft” nasce come gioco di parole e come “storpiatura” del termine “copyright” (lett. “diritto di copia”), espressione che nei paesi anglofoni indica l’insieme dei diritti che tutelano le opere creative.
In inglese la parola “right” significa “diritto” ma significa anche “destra”; ed è proprio su questa polisemia che si fonda il gioco di parole. Il termine “Copyleft” contiene infatti la parola “left” che in inglese significa “sinistra” e vuole quindi trasmettere un senso di ribaltamento, di inversione dei principi. Le prime testimonianze dell’uso di questo neologismo risalgono alla fine degli anni settanta quando nella comunità degli hacker, i quali per scherzo scrivevano nei credits relativi al software da loro sviluppato la frase “copyleft – all wrongs reversed” (vedi un esempio). Secondo Richard Stallman, tra i principali teorici del copyleft e portavoce della comunità hacker, il termine viene da una lettera che Don Hopkins gli mandò nel 1984 o 1985, nella quale era scritto: “Copyleft — all rights reversed” cioè “Copyleft — tutti i diritti rovesciati” (vedi fonte). A queste annotazioni, spesso veniva associato anche il tipico simbolo del copyright (©) ma con la C al rovescio.
Al di là della semplice analisi semantica e ricostruzione storica del termine, il concetto di copyleft si è poi sviluppato e meglio definito negli anni successivi parallelamente all’affermazione del software libero e open source. La licenza che per antonomasia incarna il senso del “copyleft” in campo informatico è la licenza GNU GPL la cui prima versione risale al 1989 e oggi è ancora la licenza più utilizzata per il rilascio di software a codice sorgente aperto. L’effetto di questa licenza è quello di far leva sul copyright non tanto per tenere sotto chiave l’opera a cui è applicata, per imporre vincoli sul suo utilizzo; al contrario le licenze copyleft fanno leva sul copyright per consentire utilizzi liberi dell’opera, la licenza diventa non solo un elenco di vincoli ma anche un documento che stabilisce una serie di libertà per gli utilizzatori. Ecco spiegata l’idea di ribaltamento che si cela nel gioco di parole sopra illustrato. Vi sono poi diverse estrinsecazioni del modello copyleft; per approfondimenti vi rimandiamo al materiale informativo che trovate nel sito.
Dagli anni 90 in poi, complice anche l’esplosione di internet come fenomeno di massa, questo innovativo modo di gestire il copyright (che appunto possiamo chiamare “modello copyleft” o “modello open”) è stato via via sperimentato in altri campi della creatività. Nacquero così varie licenze pensate per funzionare non solo sul software ma anche sui testi, sulle immagini, sulle musiche, sui video, sulle banche dati; e con le licenze nacquero anche una serie di progetti di divulgazione e di enti non profit o accademici con lo scopo di promuovere questa nuova pratica. Il progetto più lungimirante è indubbiamente Creative Commons, fondato nel 2001 da Lawrence Lessig e tutt’ora considerato il principale riferimento.